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Ipogammaglobulinemia secondaria nei pazienti affetti da linfoma sottoposti a chemio-immunoterapia: incidenza e orientamento terapeuticoGallery_16A_01.html

PROGETTI

Ipogammaglobulinemia secondaria nei pazienti affetti da linfoma sottoposti a chemio-immunoterapia: incidenza e orientamento terapeutico

Introduzione: le ipogammaglobulinemie secondarie possono essere dovute a molteplici condizioni che vengono divise in malattie dovute a perdita di Immunoglobuline (Ig) (enteropatie e malattia cronica renale), malattie da ridotta sintesi di Ig (Leucemia linfatica cronica, linfomi, Mieloma multiplo), condizioni iatrogene.

Non esistono ad oggi studi rilevanti che indichino la reale incidenza delle ipogammaglobulinemie iatrogene. D’altra parte, l’ipogammaglobulinemia secondaria, se severa, può rappresentare un serio fattore di rischio per infezioni in pazienti affetti da malattie linfoproliferative.

L’ipogamaglobulinemia può essere presente al momento della diagnosi, per “ridotta sintesi” secondaria allo stesso disordine linfoproliferativo, o instaurarsi durante e dopo il trattamento chemio-immunoterapico.

I farmaci biologici o “target”, tra cui gli anticorpi monoclonali, rappresentano una svolta nella terapia delle malattie linfoproliferative colpendo con precisione le cellule malate.

Il Rituximab, anticorpo monoclonale anti-CD20, associato alla polichemioterapia, è lo standard terapeutico per il trattamento del LNH a cellule B. Tale anticorpo monoclonale è diretto contro le cellule che hanno sulla superficie l’antigene CD20, ossia le cellule B.

Numerosi trattamenti immuno-chemioterapici possono determinare una severa riduzione delle difese immunitarie che si evidenzia a livello laboratoristico con una ipogammaglobulinemia e, a livello clinico, con infezioni ricorrenti di variabile gravità.

Tra i farmaci maggiormente implicati in questa problematica, spicca la Fludarabina che è stata ampiamente utilizzata nel trattamento dei Linfomi non Hodgkin. Questo farmaco è stato associato a numerose tossicità a lungo termine relative ad uno stato immunosoppressivo senza, d’altra parte, essere direttamente correlato al dosaggio delle Immunoglobuline.

Gli obiettivi del nostro studio sono:

  1. valutare l’incidenza di ipogammaglobulinemia in pazienti affetti da Linfoma di Hodgkin e Linfoma non Hodgkin,

  2. correlare la riduzione delle ipogammaglobuline con il tipo linfoma e con la tipologia di terapia.

In ultima analisi, il nostro obiettivo è valutare se i pazienti con severa ipogammaglobulinemia vanno incontro a più gravi eventi infettivi.


Metodi

Abbiamo analizzato retrospettivamente i dati di circa 200 pazienti seguiti presso questo Centro dal 2001 al 2010 e di età compresa tra 20 e 88 anni (mediana 55 anni).

150 pazienti  avevano una diagnosi di Linfoma non Hodgkin (Follicolare, Marginale, Linfocitico) e 50 pazienti di Linfoma di Hodgkin. I pazienti affetti da linfoma non Hodgkin erano stati trattati con differenti linee di chemioterapia: 50 pazienti (25%) erano stati trattati con linee chemioterapiche che includevano la Fludarabina, 100 pazienti (75%) erano stati trattati con regimi chemioterapici contenenti antracicline e ciclofosfamide (CHOP/CHOP like).

Il 90% dei pazienti affetti da Linfoma non Hodgkin è stato inoltre trattato in associazione alla chemioterapia con l’anticorpo monoclonale anti-CD20 (Rituximab).

Tutti i pazienti affetti da Linfoma di Hodgkin sono stati trattati con schemi polichemioterapici contenenti antracicline (ABVD/ABVD like).

A tutti i pazienti sono state dosate le immunoglobuline (IgG, IgA e IgM) al momento della stadiazione e, se sotto i livelli minimi, sono stati esclusi dalla analisi. Il dosaggio delle immunoglobuline è stato effettuato per la maggio parte dei pazienti durante il trattamento chemioterapico, al termine della terapia e durante il follow-up.

Il follow-up mediano è di 30 mesi dalla diagnosi della malattia.


Risultati

Dei 200 pazienti che abbiamo analizzato, 26 (13%) hanno sviluppato una ipogammaglobulinemia al termine della I linea di chemioterapia o di chemio-immunoterapia.

Analizzando separatamente i pazienti affetti da LH e quelli affetti da LNH, 1 paziente era affetto da LH (2%) e 25 (17%) da LNH.

Il paziente con LH (75 anni alla diagnosi, sesso maschile) non ha presentato, nel follow-up, alcun problema infettivo degno di nota e non ha ricevuto alcuna terapia sostitutiva per l’ipogammaglobulinemia.

I 25 pazienti affetti da LNH, erano stati tutti trattati con chemioterapia e Rituximab. Analizzando i regimi chemioterapici, 10/25 (40%) erano stati trattati  con regimi chemioterapici contenenti la Fludarabina. Durante il follow-up (mediana 30 mesi) 5 dei 25 pazienti hanno presentato episodi infettivi ricorrenti (bronchiti/broncopolmoniti) e sono stati trattati con terapia di supporto (Immunoglobuline e.v.), 22 pazienti non hanno presentato alcun problema infettivo e sono stati solo osservati nel tempo.   In questi pazienti, durante il follow-up, si è assistito a lieve ma progressivo aumento delle immunoglobuline.


Conclusioni:

Il nostro studio conferma che l’ipogammaglobulinemia secondaria rappresenta un problema sottostimato che può presentarsi dopo regimi chemioterapici ed immunoterapici utilizzati nel Linfoma non Hodgkin.

Dai nostri dati sembra possa affermarsi che tale problematica non è rilevante per i pazienti affetti da Linfoma di Hodgkin dopo la prima linea di chemioterapia con antracicline (ABVD/ABVD like).

I pazienti affetti da Linfoma non Hodgkin hanno maggiore probabilità di sviluppare l’ipogammaglobulinemia al termine della chemio-immunoterapia (nel nostro studio 13%) e il 20% di questi pazienti necessita di terapia di supporto per infezioni ricorrenti.

Tale problematica è rilevante in quanto l’ipogammaglobulinemia, se associata a infezioni ricorrenti, non solo determina un peggioramento della qualità della vita ma può ridurre l’aspettativa di vita in pazienti guariti dal linfoma.

Nella nostra esperienza alcuni farmaci sembrano giocare un ruolo più rilevante nello sviluppo della ipogammaglobulinemia. Anche il ruolo del Rituximab dovrà essere indagato in successive analisi.

Dott.ssa Elena Cavalieri